Ricordo del figlio Blu Marziale

Alessandro Marziale 1990

Sono Blu, il primogenito di Alessandro Marziale. Sono nato nel marzo 1976 da due genitori molto giovani ed artisti. Ho sempre pensato che il primo indizio della personalità di mio padre della estrosità e grande anticonformismo fosse stato quello di chiamare un figlio con un nome tanto peculiare; e se come si dice, “in nomen omen”, avrebbe dovuto chiamarsi lui con un nome di colore.

Mio padre per me l’ho vissuto molto intensamente, avevo un “imprinting” che avrebbe interessato perfino K. Lorenz, un papà chioccia, che mi portava a legarmi da bambino con un laccio invisibile che sentivo essere il mio legame con il mondo terreno. Chi lo vedeva sulla spiaggia della Feniglia spesso vedeva al seguito un bambino, entrambi dotati di pareo indiano. Non voleva che lo chiamassi papà (o babbo), ma semplicemente Ale. Questo però non attenuava la sua autorevolezza di padre, in quanto il chiamarlo per nome non mi frustrava né sono mai caduto nello stereotipo del “padre amico”.

Ora il mio ricordo di Alessandro nella prima infanzia è quello di una persona estrosa, affettuosa, ma che mi metteva pure un certo timore reverenziale; primi tempi ad Urbino (vaghi ricordi, forse solo del cane Patroclo), poi Roma tra Trastevere e Campo di Fiori. C’erano in giro colori, tele, polaroid con cui giocare, e libri di arte. Mi ricordo comprato a campo dei fiori un “Goya spiegato ai bambini”.

Ciò che ancora oggi mi colpisce era la giovane età di Alessandro: per me era una specie di mito, come Achille, che come tutti gli eroi è perennemente giovane; ovviamente all’epoca bambino mi sembrava molto grande. Sempre facendo paragoni con l’eroe omerico, direi che l’ambivalenza di grandi passioni contrastanti mi colpivano: grandi slanci di affetto si alternavano a severi giudizi e una maniera troppo dura e diretta di esprimersi. Spesso avevo timore di dirgli le cose, e tenevo molto al suo giudizio.

Mi ricordo che mi punzecchiava sempre soprattutto in macchina dandomi delle pacche forti sulle gambe e questo non lo sopportavo, era proprio dispettoso. Questo succedeva in quella macchina con il cambio vicino al cruscotto che adesso sarebbe quasi d’epoca ma all’epoca era molto diffusa ed “alternativa”.

Mi permetteva di avere contatto fisico con lui e confidenza, ma non voleva che gli toccassi la testa, era una specie di tabu’: ancora oggi ne ignoro la ragione.

Devo dire che la settimana che ricordo come una delle più belle della mia vita fu quando passammo una settimana insieme a sciare in Trentino; potevo averlo tutto per me , ed ero molto sereno. Mi ricordo che commentando con un signore che faceva la scuola sci, difendevano un maestro che era molto rigido nell’insegnamento; spesso, cosa che non diresti in un artista, era Marziale di nome e di fatto. Mi diceva spesso, tra il serio ed il faceto: < mutismo e rassegnazione!!!>.

Mi aiutò con consigli a dipingere un acquarello sulla Sicilia per un concorso scolastico alle scuole media, che poi andò a buon fine. Così come mi detto un solo consiglio su un metodo di studio che mi aiutò molto; un’altra volta invece mi disse di non pensare solo allo studio ma di dedicarmi anche ad altro: credo intendesse dire più alle ragazzine che allo sport, comunque anche questo era da padre.

Poi aveva una grande passione per il volo sportivo, e mi ricordo un giorno in cui partimmo da Grosseto per l’aereoporto di Viterbo: fu un pomeriggio molto bello. Essere pittori e volare è molto dannunziano, dal mio punto di vista.

Purtroppo quando è avvenuto l’incidente avevo solo 13 anni; mi ricordo che alla fine di gennaio i giorni 30 e 31 del 1990 mi sentivo molto triste e pensavo alla morte. Il 31 dovevo parlare con lui delle scuole superiori che avrei dovuto frequentare, avevamo programmato di andare a giocare a tennis: mi disse che ne avremmo parlato l’indomani della scuola e del resto. La sera prima dell’incidente vidi con lui “Il principe cerca moglie”, e poi andai a dormire; non dormii ma piansi per mezzora a letto. Vidi un’ombra alla porta e lui mi disse

Ora non so se è il caso che governa il mondo, oppure vi sia un piano predeterminato che prescinde dalle nostre volontà, ma ritengo che la nostra sensibilità ci lega molto più di quello che si possa ritenere alle persone care; questa è stata la mia sensibilità di adolescente negli ultimi momenti di vita di Alessandro. Un lieve senso di colpa mi accompagna, ma questo è probabilmente un retaggio del pensiero magico infantile, che dice che i tuoi pensieri causano gli eventi.

Ricordo del fratello Luca Marziale

Ero abituato a non vederlo per tanto tempo . Ancora oggi, nonostante siano passati 21 dalla sua scomparsa, mi aspetto di incontrarlo in qualche “bar malfamato” a dire la sua sulla qualunque.
I pensieri viaggiano dalle interminabili partite a carte con Flavia e Fosco  ad Ansedonia, alle volte in cui, mentre per conto mio strimpellavo il pianoforte, veniva a sedersi accanto a me suonando il secondo pianoforte. All’ inizio suonava con me e piano piano prendeva, prepotentemente e a modo suo con le sue fantasie musicali, la scena (io smettevo). Non era ne un sopruso ne, tanto meno, una prepotenza ma un lasciarsi andare alle sue fantasie.
Ricordo quando dipinse i “fiumi” un momento di risate infinite nel cercare di capire come riconoscerli (qual’era il nilo , il missispi e. ? non c’ erano riferimenti (ovviamente)) . Mi stava gabbando come al solito o era serio ?
Essendo il più piccolo (11 anni di differenza) ho potuto apprezzare solo l’ultima parte della sua vita.  Ho sempre riconosciuto quella sua eterna “follia” come una virtù’  dal valore impagabile. A lui capitavano le cose più incredibili.  Una ruota che si staccava dalla macchina ad un semaforo, un barbone che si accasava in una sua mini usandola come bagno.   Alessandro non aveva una vita normale. Aveva una vita eccezionale. Ogni cosa che gli capitava aveva un senso reale ma incredibile, diverso da un fato negativo di cui sembrava sempre essere vittima. Ma la cosa più esilarante era il suo racconto di quello che gli capitava. Credo che noi tutti ci eravamo abituati alle sue “avventure” ma scorrendole nella mia memoria ancora oggi mi trovo a sorridere ricordandole.

Ricordi di Giselle Pons

RICORDI DI ALE

 Alessandro era il mio primo figlio, il primo di quattro. Ho imparato a fare la madre a sue spese. Lui è nato che non avevo ventuno anni. Essendo figlia unica cresciuta a New York in un mondo di adulti tutti intenti alle loro carriere teatrali, non avevo mai visto un bambino piccolo. Non immaginavo lontanamente che bisognava essere a sua disposizione 24/7, ventiquattro ore al giorno sette giorni alla settimana, trecentosessantacinque giorni all’anno.

Fu un grosso shock.

Ma il biondo Alessandro dagli occhi blu era un bambino bellissimo. Primo figlio, fu stra-fotografato, vezzeggiato, viziato, adorato, coccolato. Non era particolarmente svelto nell’apprendere a camminare o a parlare. Diceva cose buffe del tipo Agudidì che non abbiamo mai capito bene cosa significasse. Lo diceva, lo ripeteva e rideva, e noi appresso a lui.

Un giorno – avrà avuto otto mesi – mentre lo stavo asciugando sul tavolo fasciatore, mi ero girata per prendere del talco. Quando mi rivolsi a lui, non c’era più sul tavolo. Era caduto in terra e aveva battuto la testa! “Ale!” gridai. Avevo paura di prenderlo in braccio, paura che fosse morto. Fortunatamente si riprese e vomitò. Chiamai mia suocera che viveva al secondo piano e lo portammo alla clinica Salvator Mundi. Ci tranquillizzarono. “Non è niente, signora. Non si preoccupi.” E tornammo a casa.

Alessandro era un bambino generoso. Quando aveva 20 mesi venne in clinica a conoscere il fratellino Nicola, volle regalargli il suo giocattolo preferito. Tuttavia, man mano che crescevano, Nicola ed Alessandro erano un po’ come il giorno e la notte, sia come aspetto fisico che come carattere. Litigavano per tutto, eppure si volevano bene.

Da giovane madre americana zelante, portavo i miei maschietti in tutti i musei per farli conoscere precocemente le meraviglie dell’arte italiana. Alessandro osservava con entusiasmo, mentre Nicola si metteva le dita nelle orecchie e chiudeva gli occhi. Alessandro era anche dotato per la musica, ma non studiò mai sistematicamente.

A scuola era terribile: contestava tutto e tutti. Andare a parlare con i suoi insegnanti era un vero strazio. A casa era sì disordinato, ma lo sentivo sempre vicino e pensavo che sarebbe bastato il mio amore a dargli sicurezza, a non permettergli di cadere nelle terribili trappole/insidie che stavano in agguato, pronte a divorare e distruggere i giovani.

Frequentò il liceo scientifico, mentre avrebbe dovuto fare o il classico o l’artistico. Difatti, fu bocciato al terzo anno e io lo costrinsi a ripeterlo nella stessa scuola. Poi fece brillantemente due anni in uno in una scuola di recupero dove conobbe Paola Ermini, con cui andò a vivere. Dopo il diploma, Paola ed Alessandro frequentarono la nuova facoltà DAMS a Bologna, ma intanto Alessandro era rimasto folgorato dalle sculture di Yves Grange e l’anno successivo si iscrisse al corso di scultura di Pericle Fazzini all’Accademia di Belle Arti a Roma.

E da lì iniziò la sua carriera d’artista. Quello che caratterizza tutte le sue opere e la sua ossessione nel investigare a fondo un tema, che sia le cortecce degli alberi, l’accostamento di legno tenero con rigide lastre d’acciaio, l’Oceano Indiano, le ninfee, il nuoto. Ogni cambiamento di stile poggiava su una serie di ricerche a 360 gradi. Me ne sono accorta solo adesso mentre raccoglievo le fotografie delle sue opere finite e dei tanti schizzi sperimentali che le precedevano.

Parlavo del folle disordine di Alessandro. Paradossalmente, la sua scultura era esattamente l’opposto: era perfetta. Mi ricordo un giorno quando vivevamo a vicolo del Cinque in Trastevere. Lui aveva uno studio al piano terra del palazzo e noi abitavamo all’ultimo piano. Una mattina stava passando una carta vetrata finissima per rifinire una scultura in legno con una meticolosità maniacale. Stavamo litigando. Credo che stessi dimostrando un disappunto materno non so perché. Mi agitavo, ma e lui calmo continuava a levigare con una pazienza infinita.

Poche ore prima di morire, mi aveva telefonato per dirmi che stava andando ad Orbetello con un amico e che sarebbe tornato in serata. Lasciò il messaggio sulla segreteria telefonica perché eravamo a pranzo fuori. Sentì il messaggio solo dopo il funerale. Maledissi quello sciagurato pranzo. Forse le cose sarebbero andate diversamente se ci fossimo parlati. Forse l’avrei dissuaso dall’andare a Orbetello. Forse la sua macchina non sarebbe andata a finire contro quel tir che veniva dalla direzione opposta. Chissà.

ANEDDOTO DI FAMIGLIA – 1988

Drammatis personae:

  • Alessandro
  • Nicola

Casa di Nicola

 

Alessandro di passaggio a Roma passa la notte a casa dal fratello.

La mattina va in bagno per farsi la doccia.

Il ‘telefono’ della doccia è guasta e l’acqua esce a fiotte direttamente dal tubo.

Alessandro ‘scorda’ di chiudere l’acqua e va in cucina a farsi un cappuccino.

Mentre prepara il caffè riesce a bruciare il manico d’un coltello, poi accuratamente versa il residuo del cappuccino nell’insalata.

Intanto l’acqua ha già allagato il bagno.

Alessandro esce da cosa e l’acqua continua scorrere. Allaga il bagno. Allaga la camera da letto.

Fortunatamente arriva la donna delle pulizie prima del diluvio universale.

Mentre mi fa questo racconto, Nicola scuote la testa mestamente.

Ricordo di Flavia

Ale  ed io ci siamo conosciuti a casa vostra ad Ansedonia. Ma c’è un precedente che non ti ho detto. L’amica che mi ha portato a cena a casa vostra in vostra assenza facendomi conoscere Ale, mi aveva parlato di questo uomo e del suo bambino , del suo essere artista e del suo essere sicuramente un uomo un pò fuori dall’ordinario. Un giorno avevo deciso di andare a fare il bagno in Tagliata ( andavo spesso in Feniglia e preferivo la spiaggia perchè potevo fare lunghe camminate) e sulla battigia vidi camminare quest’uomo che indossava  un pareo in garzina rossa dai piccoli disegni gialli (era sicuramente indiano) legato in vita e lungo fino alla caviglia , portava  i rayban e osservava il mondo con un sorriso tra il dolce ed il beffardo che poi negli anni ho rivisto molte volte sulle sue labbra.Teneva per mano un bambino che arrancava dietro al suo passo frettoloso. Deve essere lui, ho pensato, quell’Alessandro di cui mi ha parlato la mia amica ed ho conservato nel cuore quella tenera immagine per giorni, fino alla sera in cui l’ho incontrato a casa vostra dove tutto è cominciato.

Ricordo della sorella, Angelica Marziale

Ricordo di Alessandro.

Uno degli ultimi ricordi che ho di Ale è un’immagine molto tenera e intima nella quale lui massaggia la caviglia di mia figlia Vittoria di 8 mesi, che era nata con una lieve distorsione al piede. Mi ricordo in particolare il contrasto tra le sue mani intelligenti e gli incarnati rosei della bimba.

Le sue mani me le ricordo benissimo perché suo figlio Lupo le ha uguali. E ha anche lo stesso modo di muoverle sulla scacchiera del backgammon. Ancora oggi, quando mi capita di fare una partita, penso sempre a lui.

Ale era una persona difficile e facile allo stesso tempo. Quando ti doveva dire qualcosa te la diceva in faccia senza peli sulla lingua. Era irruento, poco formale ma divertente e irriverente.

La cosa che mi colpiva sempre era quanto piacesse alle persone, e alle donne in particolare, senza che facesse nulla di speciale per attrarle: era semplicemente affascinante.

Quando studiava all’Accademia di Belle Arti di Urbino, andavo a trovarlo ogni volta che potevo, in genere nei fine settimana, prendendo una laida corriera che mi scaricava sulla Piazza principale del paese dove mi veniva a prendere con una scalcinata Renault 4 che non sempre riusciva a portarci a casa perché spesso aveva dei problemi meccanici e si fermava lungo la strada.

La sua casa, per me 14enne, era una luogo dove si incontravano persone affascinanti e si viveva una vita interessante ed intensa.

Un altro ricordo che ho di quel periodo e’ di come Ale si prendesse cura del piccolo Blu, che era nato da poco, lavando a mano i suoi vestitini in immensi catini dove faceva ammollare il bucato per giorni perché non c’era la lavatrice.

.Ero molto felice di poter frequentare questo fratello grande che se ne era andato via dalla casa paterna che io avevo appena 10 anni. Ero felice soprattutto perché mi trattava in maniera complice, senza sciocche gelosie.

Pur essendo diverso da me per carattere e sesso, Ale è il fratello che ho sentito più vicino, come lo erano, l’uno per l’altro, gli altri miei due miei fratelli. Insomma pareva che fossimo un’equilibrata nidiata di figli con lo schema 1-3, 2-4.

Quando Alessandro è tornato a Roma insieme ad altri artisti ha “colonizzato” l’ex pastificio di Via degli Ausoni , nel quartiere di San Lorenzo; era il posto ideale per dipingere o scolpire perché gli spazi erano immensi e pieni di luce e si poteva avere una casa studio. Mi ricordo in particolare l’odore dei prodotti per pulire i pennelli che permeava tutto il locale. Mi ricordo anche che, come artista squattrinato, veniva tutti i giorni a pranzo a casa di mamma e papà. All’epoca quando tornavo da scuola, trovavo lui con il suo amico Beppe Gallo seduti al tavolino estraibile della cucina di Via dei Vecchiarelli che mi aspettavano per pranzare. Mi ricordo tante risate spensierate , di quelle che si ride per nulla.

E’ morto troppo presto, dovevo dirgli ancora tante cose ed è inquietante come in alcuni suoi dipinti appaia che egli presagisse la sua fine precoce.

Dopo la sua morte ho fatto per mesi lo stesso sogno – vigliacco, penso io – dove tutto si svolgeva come nella realtà con l’incidente di auto, con la sola differenza che io ero lì con lui mentre passava dalla vita alla morte e lui mi stringeva la mano come a dirmi che aveva capito che c’ero.

Memoria di Yve Grange

Chers amis,
je suis très touché par votre désir d’evoquer Alessandro est son art en ces journées d’anniversaire. Je me souviens fort bien l’avoir vu à Ansedonia peu de temps avant sa disparition mais également à Paris dans mon atelier. Nous avions alors pu parler de nos travaux respectifs.
J’avais eu l’impression que peut-être une amitié véritable était possible entre nous. Hélas la vie, comme on dit devrait en décider autrement.
En dépit de tempéraments différents, j’étais sensible à l’intérêt affectueux qu’il portait à mes petits travaux, mais voila – on s’est perdus de vue : lui, jeune, impétueux, moi plus vieux de 21 ans, plutôt jets silencieux et contemplatif, je ne connaissais de son œuvre que des images, des photographies. Lui, en revanche avait pu voir chez moi des objets de terre cuite ou crue ; en tout cas je me souviens de cette ultime rencontre chez vous où nous étions convenus de nous revoir en dépit de nos différences d’esthétique! C’est peut-être grâce à lui et a son regard bienveillant sur mon travail qu’il y a desormais chez vous ces 4 petits bronzes de femmes « qui bougent et ne bougent pas » et qui m’évoqué sa jeune et chaleureuse présence.
Je vous embrasse tous avec toute mon affection.
Yves Grange